Abete: tradizione, selvicoltura e sfide della montagna che cambia

Abete: tradizione, selvicoltura e sfide della montagna che cambia
Torna il nostro appuntamento con il cuore verde dell’Italia: un viaggio tra radici antiche, sorprendenti strategie di sopravvivenza e il delicato equilibrio delicato tra natura e presenza umana. Con l’avvicinarsi del Natale, non potevamo non parlare dell’albero che più di ogni altro rappresenta questa stagione: l’abete. Oggi raccontiamo la sua storia, tra simboli, foreste e sfide contemporanee.
Abete: tradizione, selvicoltura e sfide della montagna che cambia
Torna il nostro appuntamento con il cuore verde dell’Italia: un viaggio tra radici antiche, sorprendenti strategie di sopravvivenza e il delicato equilibrio delicato tra natura e presenza umana. Con l’avvicinarsi del Natale, non potevamo non parlare dell’albero che più di ogni altro rappresenta questa stagione: l’abete. Oggi raccontiamo la sua storia, tra simboli, foreste e sfide contemporanee.
L’abete, simbolo di vita eterna
Sempreverde per eccellenza, l’abete accompagna la storia dell’uomo da millenni. La sua chioma che non si spoglia mai, anche nel cuore dell’inverno, è diventata nel tempo un potente simbolo di resistenza, rinascita e speranza.
Già le popolazioni nordiche lo veneravano come albero sacro, legato alle divinità della luce e della vita. Si credeva che le sue radici unissero la terra al mondo sotterraneo e che la sua cima, rivolta verso il cielo, fosse un ponte verso il divino. Nei giorni più bui dell’anno, quando il sole sembrava spegnersi, l’abete ricordava che la vita non si arresta mai, anche quando tutto intorno tace.
Con l’avvento del cristianesimo, questo significato profondo si è intrecciato con la nascita di Gesù, portando alla tradizione dell’albero di Natale: un simbolo di luce, di speranza che rinasce. L’abete, da emblema pagano del ciclo della natura, è diventato così un ponte tra spiritualità antica e fede moderna, continuando a raccontare – anche nelle nostre case – la storia eterna della vita che si rinnova.
Il ruolo fondamentale degli abeti negli ecosistemi italiani
In Italia, le specie di abete più diffuse sono due: l’abete rosso (Picea abies), tipico delle Alpi e dell’Appennino settentrionale, e l’abete bianco (Abies alba), che predilige ambienti più umidi e freschi.
Entrambi sono pilastri fondamentali degli ecosistemi montani: le loro chiome fitte offrono rifugio e siti di nidificazione per numerose specie di uccelli, mentre la lettiera di aghi e rami caduti favorisce la formazione di suoli ricchi e stabili. Le foreste di abeti contribuiscono inoltre a regolare il ciclo dell’acqua, riducendo il rischio di alluvioni e regimando il flusso delle sorgenti, e proteggono i versanti dal dissesto idrogeologico grazie a radici profonde che consolidano il terreno. La presenza di questi alberi sostiene anche la biodiversità, ospitando funghi, licheni e piccoli mammiferi che trovano nelle abetine e nelle peccete un habitat sicuro e un microclima più stabile.
Ma dietro la loro imponenza si nasconde un equilibrio fragile, messo alla prova dai cambiamenti climatici, dalle infestazioni di patogeni come il bostrico e da utilizzazioni non sostenibili.
La selvicoltura dell’abete: equilibrio tra uomo e natura
La coltivazione dell’abete, in particolare dell’abete rosso, vanta una lunga tradizione in Europa: è spesso impiegato in piantagioni ad alta densità destinate all’industria del legno. Numerosi studi evidenziano come questi boschi monospecifici siano più vulberabili agli stress ambientali rispetto alle foreste miste. Per esempio, una ricerca tedesca condotta nel 2023 (Annals of Forest Science) ha dimostrato che le piantagioni pure di abete rosso, se si considerano i danni legati alle tempeste e ai cambiamenti climatici, garantiscono redditività minori rispetto ai boschi misti con altre specie (faggio in questo caso).
A prova di quanto appena detto, un’analisi su scala europea del 2025 condotta da alcuni ricercatori dall’Università di Ljubljana (Slovenia) indica che l’abete rosso presenta la più alta vulnerabilità rispetto alle altre specie forestali nei confronti di disturbi naturali biotici (insetti) e abiotici (vento).
Tutti questi dati rafforzano l’idea che le piantagioni monoplane, pur economicamente efficaci nel breve termine, pagano questa produttività con una diminuzione della resilienza e che le monocolture di abete hanno una resilienza inferiore e una capacità di sequestro del carbonio più ridotte rispetto alle foreste miste con latifoglie.
Per queste ragioni, un approccio selvicolturale più sostenibile promuove la diversificazione delle specie, la rinnovazione naturale e la conversione a foreste miste, dove abete, faggio, larice e altre specie convivono, un modello che si è dimostrato più resistente e adattabile ai cambiamenti climatici.
Il nemico invisibile: il bostrico
Negli ultimi anni, una nuova minaccia sta devastando intere abetine alpine: il bostrico tipografo (Ips typographus), un piccolo coleottero che si nutre del legno sotto la corteccia e attacca in particolare l’abete rosso. In condizioni naturali e isolate, questo insetto è parte integrante dell’ecosistema forestale, contribuendo alla degradazione del legno morto. Tuttavia, una combinazione di fattori – siccità prolungate, ondate di calore, tempeste di vento e piantagioni monospecifiche – ha indebolito gli alberi, creando condizioni ideali per un’infestazione fuori controllo.
Studi recenti mostrano che il bostrico può completare un numero maggiore di generazioni all’anno in condizioni più calde e che la vulnerabilità delle foreste aumenta in presenza di stress climatico. Per esempio, per l’Europa centrale è previsto che entro il 2030 i disturbi da bostrico possano aumentare fino a sette volte rispetto al periodo 1971-1980. Un caso significativo: nelle Alpi meridionali italiane, dopo la tempesta “Vaia” del 2018, l’abbattimento massivo di alberi ha fornito al bostrico un ampio “substrato” per riprodursi, con conseguente attacco massivo agli alberi vivi nei due anni successivi.
Il risultato? Ettari di foreste disseccate, alberi schiantati e un paesaggio montano che cambia volto sotto i nostri occhi.
La lotta al bostrico non si ferma all’eradicazione del patogeno: richiede una gestione forestale adattata che punti sulla diversificazione delle specie, sulla ricostituzione di foreste miste piuttosto che uniformi piantagioni monospecifiche, e sulla ricostruzione della resilienza ecosistemica, ovvero la capacità del bosco di resistere e riprendersi e di garantire funzioni ecologiche come la protezione idrogeologica e la conservazione della biodiversità.
L’abete e il tempo: una lezione di resistenza
L’abete ci insegna che la forza non è rigidità, ma capacità di adattamento. Nei secoli, ha imparato a convivere con il gelo, con i venti di quota e con i mutamenti del clima, modificando il proprio ritmo di crescita, la forma della chioma e persino la disposizione degli aghi per resistere a freddo e siccità.
Sottoterra, le sue radici non vivono isolate, ma si intrecciano con quelle dei vicini e si connettono attraverso la rete sotterranea di funghi simbionti – il “wood wide web” – che permette lo scambio di nutrienti e segnali chimici tra alberi, creando un sistema cooperativo di sopravvivenza collettiva.
Questa antica strategia di interdipendenza è una lezione che riguarda anche noi.
Come gli abeti, anche le comunità umane prosperano solo quando trovano un equilibrio tra forza individuale e solidarietà. Proteggere queste foreste, oggi minacciate dai cambiamenti climatici e dalle pratiche intensive, significa proteggere una parte della nostra stessa capacità di resistere e rigenerarci. Quest’albero custodisce la memoria di un tempo lento, fatto di connessioni invisibili e di resilienza condivisa. Un messaggio per il nostro futuro che merita di essere tutelato.
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In questo episodio abbiamo percorso un’altra tappa del nostro viaggio alla scoperta dei boschi italiani e dei loro protagonisti. Se ti è piaciuto questo racconto, non perderti i prossimi appuntamenti della rubrica, dove esploreremo altre meraviglie del nostro Paese. Unisciti a noi per conoscere più da vicino l’importanza delle foreste e il nostro impegno per proteggerle. Seguici per rimanere aggiornato!
